sabato 2 febbraio 2013

La storia si ripete, ma i soggetti depredati oggi siamo noi

Il FMI sottomette l'Indonesia
"Un'imma­gine vale più di mille parole e una fotografia del 98 e poi circolata in tutto il mondo, si è impressa negli occhi di milioni di perso­ne, in particolare degli abitanti delle ex colonie. Michel Camdessus, di­rettore generale dell'FMI, ex burocrate del Tesoro francese, di bassa sta­tura ed elegantemente vestito, che una volta si dichiarava socialista, è in piedi, lo sguardo torvo e le braccia conserte, e incombe su un presi­dente dell'Indonesia seduto e umiliato, costretto a cedere all'FMI la so­vranità economica del suo paese in cambio dell'aiuto di cui aveva biso­gno. Alla fine, ironia della sorte, gran parte dei fondi è servita non per aiutare l'Indonesia, ma per salvare i creditori privati delle potenze coloniali. (Ufficialmente, la «cerimonia» riguardava la firma di una lettera d'intenti, imposta dall'FMI, nonostante spesso si finga che simili inizia­tive provengano dal governo del paese aiutato). (vi ricordate la lettera di Olly Rehn all'Italia ndr)
I difensori di Camdessus sostengono che la pubblicazione della foto è stata sleale perché lui non sapeva che gli veniva scattata e perché è sta­ta estrapolata dal contesto. Ma il punto è proprio questo: nei rapporti quotidiani, lontani da telecamere e giornalisti, i burocrati dell'FMI as­sumono esattamente quel tipo di atteggiamento, dal capo dell'istituzio­ne fino ai livelli piti bassi dell'organigramma. Nei cittadini dei paesi in via di sviluppo, l'immagine ha sollevato un quesito inquietante: le cose erano davvero cambiate dopo la fine «ufficiale» del colonialismo avve­nuta mezzo secolo fa? Nel vedere quell'immagine, mi vennero in men­te le firme di altri «accordi». Mi chiesi quali e quante fossero le analo­gie di tale scena con quelle delle intese che portarono all'«apertura del Giappone» attraverso la politica delle cannoniere dell' ammiraglio Perry o la fine della guerra dell'oppio o la resa dei marajà indiani.
La posizione dell'FMI, come quella dei suoi leader, era chiara: esso era fonte di saggezza, dispensatore di un' ortodossia troppo sottile per­ché i paesi in via di sviluppo potessero capirla. Il messaggio trasmesso era fin troppo evidente: nella migliore delle ipotesi c'era un apparte­nente a un'élite - un ministro delle Finanze o il governatore di una banca centrale - con cui il Fondo poteva intrattenere un dialogo significa­tivo. Al di fuori di questa cerchia, non aveva nemmeno senso cercare di parlare."

Quello appena citato, non l'ho scritto io, ma il Premio Nobel per l'Economia Joseph Stigliz nel suo libro "La globalizzazione e i suoi oppositori" (versione italiana pubblicata nel 2003 pag 40) .

E' evidente che le analogie con quanto sta accadendo oggi alla Grecia, all'Italia e alla Spagna e al Portogallo sono evidenti. Al Posto di Camdessus abbiamo la Merkel e la Lagarde o dei burocrati alla Olly Rehn, ma la ricetta è la stessa,  i sacrifici inutili, gli impegni da sottoscrivere, i gioielli di famiglia da vendere ...... tutto fa pensare ad un copione già visto.

Un copione che porta alla distruzione degli stati che sono costretti a sottoscriverlo.

Meditiamo! E poi........ ribelliamoci!
 

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